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Tumore dell’ovaio: test genetici e biopsia liquida per scoprirlo in tempo

News Martedì, 07 Febbraio 2017 19:08

Il tumore dell'ovaio spesso viene diagnosticato in fase avanzata. Per intercettarlo bisogna investire nei test genetici e nell'analisi dei biomarker nel sangue. Il tumore dell’ovaio è una di quelle neoplasie che purtroppo è ancora difficile da trattare. Ciò essenzialmente si verifica perché la diagnosi - per via dei sintomi vaghi - arriva molto spesso quando la malattia è in fase avanzata. 

Qualcosa però comincia a muoversi: grazie all’analisi del Dna è oggi possibile sia individuare le donne più a rischio –tramite la ricerca delle mutazioni nei geni Brca- sia personalizzare le cure attualmente disponibili. Non solo, una ricerca italiana da poco pubblicata su Cancer Letter ha individuato in alcuni microRNA la possibile spia della presenza del tumore. Un’arma in più per arrivare ad una diagnosi precoce.

SINTOMI VAGHI- Il cancro ovarico rappresenta circa il trenta per cento di tutti i tumori maligni dell’apparato genitale femminile e occupa il decimo posto tra tutti i tumori nelle donne. In base ai dati dei registri tumori italiani si stima che lungo la Penisola vi siano circa quarantamila donne viventi con tale neoplasia. Purtroppo il tumore ovarico è un tumore molto insidioso innanzitutto perché è caratterizzato da sintomi aspecifici come gonfiore addominale, persistente oppure intermittente, necessità di urinare spesso e dolore addominale. Sintomi che portano ad una diagnosi di tumore dell’ovaio quando la malattia è già avanzata.

CHI E’ A RISCHIO?- Un primo fattore di rischio è rappresentato dall’età, in quanto il picco di incidenza della malattia si registra tra i 50 e i 60 anni, dunque nelle donne in età peri o postmenopausale. Tuttavia alcuni tipi di tumore dell’ovaio possono presentarsi in donne più giovani. Il 15-25% dei tumori all’ovaio ha come principale fattore di rischio la familiarità. Donne con madre (o sorella o figlia) affetta da un tumore dell'ovaio, della mammella o dell’utero hanno maggiori probabilità di contrarre la neoplasia. Le alterazioni dei geni Brca 1 e Brca 2 di origine ereditaria possono portare a una predisposizione più o meno importante allo sviluppo del tumore ovarico.

TERAPIE MIRATE- Come spiega la dottoressa Nicoletta Colombo, Direttore del Programma Ginecologia IEO, «Il tumore ovarico è una malattia complessa e spesso devastante non solo per il corpo, ma anche per la psicologia della donna. Le donne devono sapere però che la medicina molecolare offre nuove possibilità, se non di guarire, sicuramente di ottenere un prolungamento della vita mantenendo anche una buona qualità della stessa, anche in presenza di malattia avanzata. Ad esempio, i risultati dei test genetici che rivelano l’eventuale presenza di geni mutati nel Dna femminile (Brca 1 e Brca 2) ora ci permettono di proporre farmaci mirati ed efficaci a chi ne è portatrice. La ricerca in questo campo va veloce: oggi sappiamo che sino al 25% delle pazienti con carcinoma sieroso di alto grado dell’ovaio hanno una mutazione Brca, mentre 5 anni fa pensavamo fossero il 5%. La conoscenza di questo dato ci permette non solo di offrire loro trattamenti più mirati, ma anche di identificare i familiari sani a cui offrire misure di prevenzione».
Ma non è tutto perché sempre tramite l’analisi delle caratteristiche genetiche del tumore l’obiettivo è quello di identificare le pazienti che potranno beneficiare maggiormente dall’atto chirurgico rispetto a quelle che dovranno essere avviate ad una chemioterapia primaria, con il vantaggio di migliorare la cura e diminuire gli effetti collaterali.

DIAGNOSI PRECOCE- Piccoli segnali positivi arrivano anche sul fronte della diagnosi precoce: poche settimane fa uno studio coordinato dall’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano è riuscito nell’impresa di identificare una firma molecolare di microRNA (miRNA) nel sangue delle pazienti affette da tumore epiteliale maligno dell’ovaio. La spia della presenza del tumore ottenibile attraverso una “biopsia liquida”. I miRNA sono delle piccole molecole di RNA che hanno importanti funzioni regolatorie. Sono molecole molto stabili e per questo si è scoperto di recente che vengono utilizzate dal tumore e dai tessuti del nostro organismo come degli importanti messaggeri intracellulari. «Si tratta di un campo di ricerca ancora largamente inesplorato - spiega Maurizio D’Incalci, uno degli autori dello studio– per cui i dati vanno presi con cautela e validati in ulteriori studi»
Lo studio pone però le basi per successive ricerche mirate a valutare se la misura di questi miRNA possa essere utilizzata per una diagnosi più precoce del tumore ovarico. Inoltre i successivi studi serviranno a stabilire se gli stessi biomarcatori sono potenzialmente utili per misurare l'efficacia della terapia in modo più sensibile e precoce rispetto alle valutazioni tradizionali di tipo radiologico. «La possibilità di rintracciare nel sangue di un paziente le molecole che sono rilasciate dai tumori rappresenta un nuovo, valido strumento, anche meno invasivo, per migliorare i percorsi diagnostici e terapeutici» conclude D’Incalci.

 

Fonte: fondazioneveronesi.it

 

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